Ravvivati dalla narrazione, gli episodi della
memoria di Brasse prendono vita. Neppure gli autori però osano prestare
al loro protagonista romanzato la piena coscienza che le sue fotografie,
e quindi il suo stesso lavoro, non sonosolo i documenti burocratici di
uno sterminio, ma ne sono anche uno degli strumenti letali."Per cinque anni si vede sfilare davanti i volti e i
corpi dei morituri. Sa cosa succede fuori dalla baracca-studio del
blocco 26 da cui evita più che può di uscire. Se non lo sapesse, glielo
direbbero i volti che il suo obiettivo cattura: ebrei emaciati,
prigionieri russi, zingari pesti, ragazzine quasi bambine.
Quelle foto servono per attestare, scrive Clément Chéroux, studioso della fotografia nei lager, «la conformità del detenuto agli standard fisici e sociali» del reietto, dai quali dipende la sua eliminabilità."
Vi invitiamo a leggere il bell´articolo su Repubblica del solito bravissimo Smargiassi.
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